L’intervista è avvenuta il 27 febbraio 2020.

Per quanto riguarda la sensibilità genetica all’infezione da SARS-COV-2, gli attuali studi hanno stimato una rilevanza di predisposizione genetica che impatta per il 15/20% dei casi gravi di COVID-19, specie nei soggetti giovani che molto di rado sviluppano la forma grave. Era già noto, come approfondito nella intervista, che il genotipo HLA-B27, sottotipo 0.4, presente nel 69% della popolazione della Cina meridionale, ed inferiore al 1% in Europa, avrebbe potuto giocare un ruolo di predisposizione genica della gravità dei casi di COVID-19 osservati a Wuhan, dove si è sviluppato il primo focolaio epidemico. Forti di questa differenza di predisposizione genetica presente in Cina, che favorirebbe l’ingresso del virus nelle cellule, speravamo che in Europa l’eventuale impatto sarebbe stato più gestibile. Ci sbagliavamo, perché da noi la popolazione è mediamente più vecchia e malata. Gli studi condotti fino ad oggi sui fattori di predisposizione genica, che renderebbero i soggetti più vulnerabili alla forma grave di malattia, hanno evidenziato che esiste un difetto di funzionamento del Sistema Immunitario che riguarda la produzione di Interferon 1 nel 3,5% dei casi. Ancora più spesso si osservata la produzione di auto anticorpi anti Interferon 1, a completare il 15% dei soggetti a rischio che, anche se giovani e senza comorbilità, sviluppano la forma grave di COVID-19. Questo accade perché non vengono prodotte le molecole-sensore che attivano i recettori delle cellule immunitarie chiamati Tlr, che hanno il compito di avvertire del pericolo.  Nel sistema immunitario di chi contrae la forma grave di Covid-19, non si attiva alcun sistema di allarme, ed il virus ha la strada completamente libera per aggredire sistemicamente l’organismo. La predisposizione genica non si distribuisce in base all’etnia e riguarda trasversalmente ogni popolazione presa in esame. Colpisce di più i maschi delle femmine. Altri studi preliminari hanno anche osservato che gli anticorpi anti A del gruppo sanguigno del tipo 0, risulterebbero essere protettivi nei confronti dell’infezione da SARS-COV-2. Più recentemente (2022), si è confermato il ruolo fondamentale della Immunità Innata per opera di una proteina chiamata MBT (Mannose Binding Lectin) in grado di legarsi alla proteina spike del virus, analogamente ad un anticorpo. Questa molecola endogena riesce a neutralizzare tutte le varianti del virus fino ad ora studiate. Il deficit genetico della produzione di MBT, sarebbe responsabile della maggiore virulenza e letalità dell’infezione che genera Covid-19.

Alla luce di queste ricerche, è comunque evidente che il tasso di letalità del virus Sars Cov 2, pur essendo nella media della popolazione circa 7 volte maggiore del comune virus influenzale, ma nelle sue più recenti varianti molto più infettivo, ha rappresentato un emergenza sanitaria a cui il mondo moderno non era preparato. Per fortuna tutti i dati epidemiologici aggiornati, mostrano il raggiungimento di una immunutà di gregge che ha trasformato la pandemia in una endemia con cui sarà possibile una convivenza “pacifica” con limitate emergenze sanitarie.

Con il Dottor Giulio Pellegata parliamo anche di coronavirus. Difese immunitarie e dell’importanza dei numeri.

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